370

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: Sia fatta la tua volontà sacrificale. Al
sacrificale, adorazione. Al peccare, correzione. Gesù corregge
scribi e farisei. Sono affetti da ipocrisia mentale (la
pensano), verbale (la dicono), azionale (la fanno). Quale
trattamento da riservare? Lasciateli. Quale sorte?
Sradicati. Tolto loro il Regno di Dio. Noi novelli ipocriti
affetti da ipocrisia mentale, verbale e azionale.

Lasciamo la solita apertura riassuntiva, per dare più spazio
a quell’inciso avviato.
Il Padre vuole il sacrificale suo terrestre. Sacrificale suo, è
il peccare nostro. Al sacrificale Paterno si dà la adorazione;
al peccare umano si dà la correzione.
Quelli che Gesù corregge sono uomini non solo sbagliati,
ma sbagliatissimi per una religione egoisticizzata. Sono
gli scribi e i farisei.
1) Gli scribi studiosi e maestri della Legge mosaica (maestri
della religione) che minuziosamente applicavano ai
singoli casi.
2) I farisei = separati; a formare un gruppo di persone che
preferibilmente precettavano usanze umane più della
Legge mosaica.
Guide del popolo, quasi sempre abbinati da Gesù e marchiati
con il marchio di ipocriti.
Lo erano di professione. Sono sempre presenti per pedinare,
scrutare e indagare sul fenomeno Gesù. Uomini di
Chiesa ebraica, persone di facciata, ma non di sostanza;
persone di carrozzeria religiosa, ma non di motore. Quindi
persone mascherate. Gesù li corregge: snidandoli, snudandoli,
smascherandoli.
a) Ipocrita: è un uomo religioso, per inquinamento religioso,
moralmente marcio, accuratamente imbellettato
all’esterno.
b) Ipocrisia: è l’accurato imbellettamento del marcio
interiore.
La loro ipocrisia spazia in tutte le espressioni umane.
1) La pensano: ipocrisia mentale. Sono pronti a colpire
mentalmente quello che non concorda con la loro
inquadratura egoisticale religiosa. Al paralitico bene
disposto Gesù annuncia la solubilità dei suoi peccati.
‘Costui bestemmia, i peccati li può rimettere Dio
solo!’. Gesù estrae la loro mala escogitazione e la disfa
con una prova concreta: guarisce il paralitico.
2) La dicono: ipocrisia verbale. Al banchetto di Matteo il
pubblicano indagano tramite i discepoli: ‘Come mai il
vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?’.
Loro, digiunatori bisettimanali, indagano sulla
assenza del digiuno nei suoi discepoli: noi sì; come mai
i tuoi no? Colgono i suoi a raccogliere spighe di sabato,
e l’accusa piomba furente: ecco che cosa fanno i
tuoi! La loro ipocrisia è insidiante: tende insidie per
accusarlo. ‘Questa è una donna adultera; per Mosè va
lapidata; tu, che ne dici?’. ‘ È lecito ripudiare la propria
moglie per qualunque motivo?’. Divorzio per tentarlo.
Per denunciarlo lo pongono davanti alla scottante questione
del tributo a Cesare. La loro ipocrisia è denigratoria
e demolitivi. In sinagoga di sabato raddrizza una
donna incurvata. Per guarire ci sono altri giorni, non il
sabato! Però loro sciolgono bue e asino per abbeverarli.
Gesù scaccia un demonio, e loro prontamente: l’ha
scacciato facendosi aiutare dal capo dei demoni! La
mano rattrappita. È lecito?...
3) La fanno: ipocrisia azionale. Con questi precetti umani
eliminano i divini. Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti:
col dire nascondono il non fare: ‘Fate quello che vi
dicono, ma non quello che fanno’. Pesi insopportabili
che non toccano neppure con un dito. A gettito continuo
azioni a effetto estimativo. Allargano i filatteri, allungano
le frange, primi posti ai banchetti, primi seggi in sinagoga,
saluti nelle piazze, chiamati ‘rabbì’. Lunghe preghiere,
mentre escogitano il modo di divorare le case
delle vedove. Accurati nel procurarsi la purità esteriore,
senza mai toccare il marcio interiore. Curano l’ostentazione
nel pregare, elemosinare e digiunare.
4) Quale trattamento? Guardatevi dal lievito dei farisei, che
è l’ipocrisia. Lasciateli: sono ciechi e guide di ciechi.
5) Quale sorte? Quello che esce dall’uomo contamina.
Scandalizzati: pianta non piantata dal Padre sarà sradicata.
I guai: tolto a loro il Regno di Dio e dato a un altro popolo.
Smascherati: sepolcri imbiancati, serpenti, razza di
vipere. Così equiparati.
La persona religiosa di ieri e quella di oggi sarà dissimile?
Noi novelli ipocriti lasciamoci toccare da Gesù e mettiamo
mano a una ipocrisia che ci minaccia di una sorte spaventosa.
Cristiani leali, mai ipocriti.
Quanta ipocrisia attorno al sacerdote!

371

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale.
Come Gesù corregge il peccare, così noi. Non con la speranza
di un buon effetto, ma nella certezza di far uscire
dalla egoisticità ipocritale la progressione dell’odio:
comune, religioso, ecclesiale, dirigenziale, ufficiale.
Delicata la mia verso il basso, forte la volta alla pari,
temibile quella verso l’alto. Ne diamo la sintesi.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova.
Tocca la preghiera del dire egoisticale ed ecco uscir fuori
la preghiera del fare sacrificale. Al fare sacrificale ci si
accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale, da dire e da fare. Bene appellato e
collocato. Bene augurato e perorato; bene attualizzato: Sia
fatta la tua volontà sacrificale come in cielo così in terra.
È la volontà divina Paterna.
Vuole il sacrificale suo celeste.
Vuole il sacrificale suo terrestre. Raggiunta la persona,
Satana la mette in malattia, e la avvia alla morte dell’amore
che il Padre vuole per accettazione.
Unica è la sua finalità: salvare morendo, per quella regola
metamorfosale insita nel sacrificale, vissuto alla maniera
divina. Il sacrificale suo è il peccare nostro.
Al sacrificale suo do l’adorazione, al peccare umano do la
correzione.
*) L’ha fatto Gesù con due gruppi di persone denominati:
scribi e farisei. Il peccare di queste persone religiose era
l’ipocrisia: gravissima malattia religiosa propria di chi
nasconde il marcio morale, con una maschera religiosa
esterna. Gesù ha snidato, ha snudato e ha smascherato la
loro ipocrisia: mentale, verbale e azionale.
Ha inculcato il trattamento da riservare ad essi: lasciateli,
sono ciechi, guide di ciechi; e ne ha preannunciato la sorte
rovinosa: la sorte degli ipocriti.
Chiamati a correggere (e a lasciarsi correggere) il fratello
che pecca contro di noi, non possiamo che imitare la correzione
di Gesù.
Quando io correggo il mio fratello ho la speranza di porgere
un valido aiuto esterno all’azione interiore dello
Pneuma. Gesù non era sorretto da quella speranza, ma
dalla certezza della inefficacia di quella correzione.
Lui sa in partenza che la loro ipocrisia è insolubile: non si
può sciogliere.
Perché allora ha tanto insistito nella loro correzione? Il
Padre per accettazione ha voluto la radicalizzazione della
loro ipocrisia religiosa.
Il Figlio l’attacca e la aggredisce in ogni sua espressione,
per ottenere infallibilmente un suo ambitissimo risultato:
la fuoriuscita di tutto l’odio che si è condensato nella loro
egoisticità religiosa.
È l’egoisticità religiosa che accumula l’odio religioso.
Quel massimo di ipocrisia ha dato il massimo di odio. In
questa progressione: con la sua correzione accende l’odio
comune. Quello che alimenta è religioso.
Quello che dilaga è ecclesiale. Quello che divampa è dirigenziale.
Quello che lo annienta è ufficiale.
Correggendo ottiene l’odio ecclesiale necessario al suo
sacrificale di croce. Correggendo, io non so quale risultato
otterrò. Non per questo rinuncio alla correzione.
1) Sono delicatissimo verso il basso. Per me sono i fanciulli;
non per paura di perderli, ma perché non vorrei
che avessero in odio colui nel nome del quale correggo:
il Padre.
2) Verso la parità sono forte, attraverso la parola che
risuona nelle mie labbra.
3) Verso l’alto, vicino o lontano, sono terribile, perché là
l’ipocrisia è meno scusabile. In alto c’è una regola in
atto: colpire senza farsi vedere. Uccidere la gallina
senza farla starnazzare. Quel colpo non riesce perché il
Padre lo svuota. Era una pugnalata alla schiena condotta
con arte ipocrita.
Si tenta e si ritenta. Alla fine si passa alla stretta minacciosa.

372

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale. Col
suo mi vuol salvare. Col mio mi salva: ci salviamo.
Sacrificio e sacrificale.
*) L’attivo evangelico: ‘Rinneghi se stesso’ in continuità.
Non in essere, ma nel fare: la presa di me e di quanto mi
occorre per farmi grande, potente e gaudente. Attivo bloccativi.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Al fare sacrificale ci si accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale, da dire e da fare.
Bene appellato e collocato. Bene augurato e perorato;
bene attualizzato: Sia fatta la tua volontà sacrificale come
in cielo così in terra. È la volontà divina Paterna. Vuole il
sacrificale suo celeste. Vuole il sacrificale suo terrestre.
Raggiunta la persona, Satana la mette in malattia, e la
avvia alla morte dell’amore che il Padre vuole per accettazione.
Unica è la sua finalità: salvare morendo, per quella
regola metamorfosale insita nel sacrificale, vissuto alla
maniera divina. Il sacrificale suo è il peccare nostro.
Al sacrificale suo do l’adorazione, al peccare umano do la
correzione. Dalla morte dell’amore il Padre mi vuol salvare
con il suo sacrificale. Io mi voglio salvare col mio.
Le due volontà concordano componendo le due volontà:
vogliamo salvarci col nostro sacrificale. Voglio il sacrificale,
non il sacrificio. Il sacrificio dice un atto che fluisce
senza indicarne la sua provenienza. Non sapendo che cosa
lo produce e lo sostiene l’abbiamo ritenuto certamente
buono. Anzi, vi poniamo tutta la nostra fiducia: ‘Ne faccio
io di sacrifici!’. Il sacrificio è solo attivo, non passivo: mi
sacrifico, ma non mi lascio sacrificare. Normalmente il
sacrificio è animato dall’amore egoisticale. Mentre il
sacrificale dice attaccamento e denota prontamente il suo
aggancio all’amore sano. Il sacrificale sia attivo che passivo
vuol lasciarsi sacrificare. Sacrificio ammalato; sacrificale,
sano. L’amore ammalato è egoisticale, quello sano è
solo il sacrificale. Parto col sacrificale mio attivo per
dispormi a quello passivo.
*) Sacrificale mio attivo (detto anche riflessivo): lo chiamo
attivo perché lo faccio agire io con lo Pneuma. Un
sacrificale evangelico che Gesù pone come esigenza
prima della sua sequela: ‘Se qualcuno vuol venire dietro a
me, rinneghi se stesso’. Se ci avesse detto solo: neghi se
stesso, era qualcosa. Col ‘rinneghi’ ci dice tutto.
Rinnegarmi: dirmi di no all’io egoisticale incessantemente,
perché la mia egoisticità entra sempre in azione, non
per mio libero volere, ma per sua forza istintiva che scatta
infallibilmente a ogni tocco esteriore e interiore. Dirmi
di no è bloccare la mia egoisticità. La mia egoisticità non
la posso bloccare in essere: vi è intoccabile fino alla fine.
Devo rinnegarla nel suo passaggio al fare. Cosa mi fa
fare? Mi fa sempre e solo prendere per me: è l’amore per
me. Amore per me ha una sola voglia: mi vuole grande,
non piccolo; mi vuole potente, non impotente; mi vuole
gaudente, non sofferente. Non che abbia tutto questo in
me stesso. Prima mi fa prendere me stesso e poiché sono
vivo, mi fa prendere vivente e mi fa amare vivente. Per
istinto amo la vita e non la voglio sacrificale, ma immortale.
Su questo mio male di fondo, Gesù ha bene sentenziato:
‘Chi ama la sua vita la perde’. ‘Chi la sacrifica per
me e per il Vangelo l’avrà eternale’. Nessuno ci aiuta a
capire questo, neppure la Chiesa, che nella sua abituale
ambiguità parla solo del ‘Vangelo della vita’ e non della
vita sacrificale quale veramente è per donazione Paterna.
Cosicché noi amiamo la vita e odiamo il suo sacrificale.
Così siamo e restiamo sotto l’impero di Satana. In me stesso
non ho tutto quello che mi fa essere come mi vuole la
mia egoisticità. Da qui la sua insaziabile presa.
Mi fa prendere tutto quello che mi faccia come mi vuole.
Presa interna, presa esterna. Così prendendomi prendo
cose e persone e così mi realizzo egoisticamente. Il sacrificale
mio attivo lo faccio cadere sulla mia presa: e così
non prendo. Bloccare tutta la mia presa. Mi metto in blocco.
Fissiamolo bene in un termine. Il Padre vuole il sacrificale
mio bloccativo di presa interna e esterna.

373

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale.
Presa reitaria viene dal sentire. Cosa è: atto spirituale che
mi dice la presenza dell’amore Paterno. Quando me lo dà:
a ogni tocco che va in immersione nella pienezza dell’amore.
Mi dice se è per o contro di me.
Perché me lo dà: per un servizio imposto da Satana: far
affluire il piacerale e deviare il sacrificale. Come trattarlo:
annientarlo smascherando il sentire e uccidendolo con
la morte dell’amore.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova.
Tocca la preghiera del dire egoisticale ed ecco uscir fuori
la preghiera del fare sacrificale. Al fare sacrificale ci si
accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale, da dire e da fare.
Bene appellato e collocato. Bene augurato e perorato;
bene attualizzato: Sia fatta la tua volontà sacrificale come
in cielo così in terra.
È la volontà divina Paterna. Vuole il sacrificale suo celeste.
Vuole il sacrificale suo terrestre.
Raggiunta la persona, Satana la mette in malattia, e la
avvia alla morte dell’amore che il Padre vuole per accettazione.
Unica è la sua finalità: salvare morendo, per quella
regola metamorfosale insita nel sacrificale, vissuto alla
maniera divina.
Il sacrificale suo è il peccare nostro. Al sacrificale suo do
l’adorazione, al peccare umano do la correzione.
Per questo vuole pure il nostro.
*) Quello attivo: ‘Rinneghi se stesso’: negarmi continuamente
la mia egoisticità. È un prodotto dell’amore egoisticale,
ed è la risultante del mio fare egoisticale, e regola
tutto il mio agire successivo. In essere non è bloccabile.
Solo nel fare. Duplice:
1) La presa meitaria: mi amo vivente.
2) La presa reitaria (delle cose): con essa mi faccio come
l’amore per me mi vuole: grande, potente, gaudente.
Col mio sacrificale attivo blocco la presa meitaria: lo faccio
disponendomi alla espropriazione totale che si compirà
nel sacrificio fisico finale.
Blocca la presa reitaria non prendendo per me. La presa
reitaria: delle cose e delle persone, fuoriesce sempre e solo
dal mio sentire.
1) Cos’è? Non è un atto sensibile. Quindi non è udire e
mano ancora ascoltare. È un atto squisitamente spirituale,
l’unico che mi rivela e mi assicura della presenza
in me dello spirito di amore del Padre che Satana mi
ha egoisticizzato. È il genuino atto di presenza dell’amore
Paterno che è con me.
2) Quando me lo dà: me lo dà ogni qualvolta viene toccato
dall’esterno: dalle cose o dalle persone; e dall’interno:
dalle imago. Ogni tocco si tuffa nella pienezza dell’amore
egoisticale. A ogni immersione dei tocchi,
l’amore egoisticale mi dà prontamente e infallibilmente
il suo sentire. Quale: mi fa sentire se è per me o se è
contro di me.
3) Perché me lo dà: tutto l’amore egoisticale è stato posto
al mio servizio egoisticale, totale e esclusivo (è a mia
promozione e a mia difesa) = esclude il sacrificale che
non ha niente a che fare con l’egoisticale, e quindi esclude
metamorfosi presente per una vita futura. Quale servizio?
L’amore egoisticale opera la divinizzazione mia.
Io come Dio. Se è per me: sento che mi piace. Se è contro
di me, sento che non mi piace. Col sentire entra in
azione l’Agente egoisticale: lo Pneuma Paterno, che mi
scatena l’azione o della presa, o della eliminazione.
L’agire scatenato ottiene tutto il mio acconsentire.
4) Come trattarlo? Non si può bloccare il sentire, come
faccio con la presa non prendendo. Il sentire lo devo
spegnere, annullare, ridurre a nulla. È sicuramente una
impresa arditissima. Nessuno mi può sostituire: la devo
compiere io. Ieri era l’autorità dei genitori che efficace
ci bloccava la presa delle cose e delle persone, dal
momento che noi ci sentivamo piccoli nell’essere e nell’avere,
ma non potevano certo eliminarci il sentire.
Questo lo elimino io pneumaticizzato. Col visuato
Paterno mi è facile togliere la maschera al mio sentire.
La maschera è il piacere che sento. Come faccio?
Guardo sotto e vedo scorrere la morte dell’amore. Vedo
la fusione tra piacere e morte, e lo chiamo per nome: è
il piacere della morte dell’amore. Con la morte colpisco
il piacere, ed ecco annullato il mio sentire. Una
operazione che faccio solamente con l’amore sacrificale
che mi ha passato il Figlio. Annullando il sentire: è il
mio sacrificale attivo che elimina e presa e consenso.

374

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale.
Col sacrificale attivo colpisco il piacere e spengo il sentire.
Me lo insegna il Visuato. Cristiano impreparato non ce la fa.
Il male prosegue. Ecco in aiuto il passivo. Col dolore mi fa
solubile il male cosciente e poi mi applica alla assoluzione
presente. Il dolore me lo dà il Visuato che mostrandomi il
piacere della morte dell’amore me lo trasforma in dolore.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Al fare sacrificale ci si accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale, da dire e da fare. Bene appellato e
collocato. Bene augurato e perorato; bene attualizzato: Sia
fatta la tua volontà sacrificale come in cielo così in terra.
È la volontà divina Paterna.
a) Vuole il sacrificale suo celeste: sacrificandosi e
lasciandosi sacrificare.
b) Vuole il sacrificale suo terrestre:
1) il suo: moritivo salvifico: salva morendo. Il sacrificale
suo è il peccare nostro.
2) Il nostro: l’attivo: ‘Rinneghi se stesso’: è l’io mio
egoisticale che mi devo rinnegare nel fare egoisticale.
Il mio fare da rinnegare: è la duplice presa: la meitaria e la reitaria.
La reitaria esce fuori dal mio sentire: ‘Atto spirituale:
me lo dà l’amore egoisticale’ (con esso mi si presenta all’attenzione),
ad ogni immersione di tocchi interni ed esterni, per
farmi fluire il piacerale e farmi deviare ogni sacrificale e lan-
ciarmi così alla mia divinizzazione. Un sentire che io spengo
col Visuato Paterno. Con esso vedo che sotto il piacere scorre
la morte viva dell’amore. Con la forza dello Pneuma
Figliale spengo il sentire. Non posso trascurare quello che si
pensa davanti a queste presentazioni. Cosa? Ma noi non riusciamo
a colpire il piacere e ad annullare il suo sentire! È vera
questa incapacità che sentite. Il piacere è più forte della stessa
vita fisica, ancor più forte della vita pneumatica. Ora viene
a galla quello che il fideato non ci ha dato, e non ci poteva e
non ci doveva dare, ma che oggi con la caduta del fideato si
rende ancor più urgente. Il fideato ci ha dato tante preziose
verità da credere, ma ci ha lasciato in ombra la più importante.
Il sacrificale nostro attivo che veniva gestito prevalentemente
dall’autorità che ci sostituiva con la imposizione. E
non siamo stati educati a condurlo noi. Tant’è vero che non
appena il piacerale è entrato trionfalmente nella vita di oggi,
non ha trovato alcuna resistenza e la sua dilatazione va operando
una accelerata riduzione del fideato. Il sacrificale attivo
ci avrebbe salvati dal crollo del fideato. Ma quello che noi
non abbiamo avuto dal fideato, ce lo propone energicamente
il Visuato. Adesso nasce la nostra responsabilità. Il Visuato ci
può rinnovare il fideato, ma il piacerale non ce lo lascia né
accogliere e meno ancora applicare. Questo lo diciamo per la
nostra correzione e per fornire allo Pneuma quella parola
esterna che da Lui azionata gli rende possibile la sua azione
interiore. Appassioniamoci al Visuato Paterno! Comunque
vada il Visuato, ora siamo al corrente del come vanno le cose:
sentire, agire, acconsentire, che sfrecciano con la velocità dell’istinto,
carichi fino al sommo di piacere ingannevole e che
ci convince quasi in modo imbattibile del male che la persona
si fa all’amore. Vogliamo attivare un rubinetto che mandi
ininterrottamente l’acqua del dolore. Non è più dolore fidea-
to che si accendeva davanti al castigo di Dio, ma è Visuato
che scorre sul male che mi faccio all’amore. Svolge e sviluppa
due funzioni importanti assai:
1) Mi fa solubile tutto il male che mi faccio all’amore
cosciente. La sua solubilità è l’anima del Purgatorio, fa
essere e vivere il Purgatorio.
2) Mi lancia alla ricerca dell’assoluzione presente, sapendo
che qui costa meno di quello che viene a costare in
cielo. Non solo mi lancia alla ricerca che già sappiamo
dove si colloca: la assoluzione presente è legata indissolubilmente
al sacrificale passivo: quello che sono
chiamato ad accettare da tutte le situazioni cui il Padre
ha legato il sacrificale che tutti ci supera. Mi faccio
esperto nella accettazione.

375

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale.
Incapaci di sacrificale attivo, il male che mi faccio
all’amore incontra quello passivo. Col passivo sciolgo il
male che il dolore mi fa solubile. Non il fideato, ma il
Visuato. Il piacere della morte dell’amore me lo trasforma
in dolore. Me lo sciolgo col passivo. Da chi viene?
Mentalità pagana. Cattiva sorte, il caso, il destino, la
fatalità, la sfortuna. Non così il Visuato mi dice.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Al fare sacrificale ci si accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale, da dire e da fare. Bene appellato e
collocato. Bene augurato e perorato; bene attualizzato: Sia
fatta la tua volontà sacrificale come in cielo così in terra.
È la volontà divina Paterna.
1) Vuole il sacrificale suo celeste: sacrificandosi con
volontà generazionale, lasciandosi sacrificare con
volontà ora fissativa ora assolutiva.
2) Vuole il sacrificale suo terrestre.
a) vuole il suo per volontà moritiva salvifica.
b) Vuole il nostro.
*) L’attivo: ‘Rinneghi se stesso’: colpisco il piacere dell’amarmi
con la morte dell’amore che vedo scorrere sotto
e spengo il sentire. L’incapacità a sviluppare il sacrificale
attivo lascia sviluppare una massa enorme di morte dell’amore.
Che fare? Si fa urgente il passaggio a quello passivo.
Il passaggio è possibile solo mediante il dolore.
a) Quello fideato non è più componibile per l’esaurimento
del fideato stesso: il cristiano non teme né
l’offesa fatta a Dio, né il suo castigo eterno.
b) Ci viene in aiuto quello visuato che mi si accende
quando vedo quella tragica morte dell’amore Paterno
che scorre sotto il piacere che sento.
Come faccio a trasformarlo in dolore? È possibile godere della
morte di chi mi ama? Godere della morte traduce il nostro pensare
e quindi le nostre convinzioni, ha sapore di un paganesimo
che ancora resiste nel popolo cristiano. Davanti a questi
sacrificali usiamo a spiegazione termini oscuri assai. Diciamo:
1) Il destino: ma non mi dice chi è che lo destina.
2) La cattiva sorte: ma non mi dice chi la fa uscir fuori.
3) La sfortuna: ma chi è la sfortuna? Forse la donna con
gli occhi bendati come la si raffigura?
4) Il caso: ma che forza è questa che fa succedere le cose
per caso?
5) La fatalità: ma che forza è quella che agisce senza un
perché e senza un fine?
Spiegazioni queste che ci ingoiano e ci divorano, e che ci
fanno convinti che tutto forma un grande caos in cui non vi è
traccia alcuna di razionalità. Questi termini vanno occupando
il posto lasciato vuoto dal fideato. Quel fideato che non ha
dubitato a comporre quel sicurissimo, verissimo, infallibile
detto proverbiale: ‘Non cade foglia che Dio non voglia’. Una
foglia che cade morta è un sacrificale vegetale di importanza
minima. E che importanza ha che un capello esca dal cuoio
capelluto? Proprio quella caduta la vuole il Padre. Il Visuato
ci dice molto di più e vuol farci vedere le varie forme che
assume la volontà Paterna per gestire tutto il sacrificale.

376

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale.
Sacrificale passivo: posto dinnanzi, non imposto. Il Padre
me lo pone dinnanzi e noi non ne vogliamo vedere il volto.
Da Lui il sacrificale cosmico.
1) Il cosmo lo vuole il Padre per assunta irradiabilità.
2) Lo vuole sacrificale: per riprodurre la medesima forma
che si è dato in metamorfosi: forma potenziale, piccolare,
sacrificale.
Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Al fare sacrificale ci si accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale, da dire e da fare. Bene appellato e
collocato. Bene augurato e perorato; bene attualizzato: Sia
fatta la tua volontà sacrificale come in cielo così in terra.
È la volontà divina Paterna.
a) Vuole il sacrificale suo celeste: sacrificandosi e
lasciandosi sacrificare.
b) Vuole il sacrificale terrestre:
1) il suo: per volontà moritiva salvifica: salva morendo.
2) Il nostro: l’attivo: ‘Rinneghi se stesso’. Dirmi di no
al piacerale, al sentire, alla mia egoisticità. Ma l’attivo
fare è di pochi; ecco allora l’offerta del passivo:
si offre alla nostra accettazione. Mi accosto al dolore
non più fideato, ma Visuato. Quella morte dell’amore
che scorre mi fa trasformare il piacere in
dolore perfetto. Mi fa solubile il male cosciente e mi
applica alla assoluzione presente.
Mi assolvo col mio sacrificale passivo. È un sacrificale
che mi viene posto dinnanzi per la mia accettazione. Dico
posto, anche se l’impressione è che mi venga imposto.
Posto dinnanzi all’amore sacrificale; imposto all’amore
egoisticale che non lo vuole accettare. Chi me lo pone dinnanzi?
È il Padre l’unica sorgente di tutto il sacrificale
passivo. Non la cattiva sorte, non il caso, non il destino,
non la fatalità, non la sfortuna. Come mai noi cristiano
insistiamo in una simile attribuzione? Perché il sacrificale
ci è tanto inviso da non volere nemmeno conoscere il
volto di colui che ce lo manda. Quel volto che l’uomo non
vuole è proprio il volto Paterno. Il sacrificale passivo lo
vuole il Padre. Tutto lo vuole.
*) Vuole il sacrificale cosmico.
1) Il cosmo lo vuole il Padre. Perché lo vuole? Lo vuole
per la sua assunta irradiabilità. Ecco come lo assume. Il
Padre è amore sacrificale che tendenzialmente ama piccolare
fino all’estremo della morte dell’amore. Nel
talamo eternale non è possibile. Eccolo allora in metamorfosi
nel talamo temporale, per la quale si fa irradiabile.
Si fa in raggi di emissione. È questa che si fa creativa.
Fa essere l’umano per irradiarvisi. E all’umano
fornisce in un cosmo in cui sia possibile il vivere
umano. Lo fa essere creandolo. Il cosmo non è per l’angelico,
ma per l’umano: è per noi.
2) Il cosmo lo vuole sacrificale: lo è in se stesso e lo è per
tutta la vita che vi si trova: sacrifica la vita vegetale, la
animale e l’umana in quella parte che è sensibile. Lo
dicono i cataclismi delle ere geologiche, lo dicono le
gigantesche trasformazioni del globo terrestre, le
immani ecatombe di animali e di persone. Perché il
Padre lo vuole sacrificale?
Il Padre per la sua metamorfosi assume una forma potenziale.
Da atto puro come era eternamente, ad una potenzialità
temporale. La sua forma è potenziale, è per questo piccolare
ed è per questo sacrificale. Se io non trovassi questa
forma sua nel cosmo che fa essere direi che non è suo.
Ma l’impronta è lì da vedere.
La forma che ha assunto il suo spirito metamorfosato,
eccola riprodotta nel cosmo: il Padre fa essere il cosmo
come un concentrato sommo di potenzialità vitali e sacrificali.
Nel cosmo ecco la potenzialità, la piccolarità, la
sacrificalità. Il cosmo è un ambiente vitale come pure
sacrificale. Le espressioni del suo sacrificale sono nei terremoti,
maremoti, uragani, tifoni e trombe d’aria, temperature
glaciali e solari, diluvio e inondazioni.
Davanti a tutto questo sacrificale cosmico che si svolge
ora in lontananza ora in vicinanza siamo capaci di scorgere
la sua volontà cosmica, di proferirla verbalmente nel
dialogo umano, e di accettarla umilmente quale sacrificale
passivo che ci viene offerto per la assoluzione. Lo vuole
per volontà sacrificale creativa.